SOCRATE O KANT?

Andando ad analizzare le dottrine etiche di Socrate e Kant, è possibile riscontrare un punto in comune tra le due concezione filosofiche: la morale di entrambi si fonda su un ‘’dualismo’’, che i due, però, declinano ed interpretano in modo drasticamente differente.

In Kant troviamo un rapporto conflittuale tra la ragione e gli istinti egoistici che porta il filosofo a definire l’uomo come ‘’creatura a metà tra santità e l’essere bestia’’.

In Socrate tale rapporto assume i caratteri di un dialogo con il proprio ‘’io interiore’’ che diventa il garante dell’attività morale.

Ai nostri occhi, la morale socratica presenta diversi elementi che la rendono preferibile a quella kantiana. In primis, il fatto che Socrate riconosca l’esistenza di una gradazione del male; la quale presenta un carattere puramente soggettivo. Infatti dal momento in cui IO DEVO DIALOGARE CON ME STESSO, sono io a decidere cosa mi permette di convivere serenamente con il mio ‘’alter ego’’. Di contro, nella morale kantiana non si riscontra niente di simile ma, anzi, Kant attribuisce lo stesso peso ad ogni azione che esula dalla legge morale, universale e oggettiva, condannando tutto allo stesso modo e incondizionatamente presentando così la sua morale come un giudice supremo e imparziale che si pone oltre al concetto di umanità, dal momento che, come affermato dallo stesso Kant, la moralità non è pienamente raggiungibile dall’uomo e può trovare il suo ipotetico compimento solo grazie al postulato dell’esistenza di Dio.

L’elemento centrale della morale kantiana, che si configura anche come massima autorità etica,è la legge morale; a tale legge morale Kant attribuisce un carattere universale e rigorosamente oggettivo. Per Kant, infatti, un comportamento può essere considerato morale solo se supera il cosidetto ‘’test della generalizzabilità’’, ovvero se questo comportamento può essere universalizzato.

Nella morale kantiana la contrapposizione ‘’santità-bestia’’ è perfettamente sovrapponibile con quella ‘’ragione-istinto’’; così facendo il filosofo condanna come immorale qualsiasi istinto, o piacere sensibile e qualsiasi comportamento che sia finalizzato, anche se in minima parte, alla soddisfazione di un proprio piacere. Il filosofo arriva dunque ad affermare, paradossalmente, che tutto ciò che piace è sbagliato e, di contro, tutto ciò che non piace è giusto. La morale kantiana è perciò una morale che riconosce l’esistenza solo del ‘’bianco’’ e del ‘’nero’’, di conseguenza, il ruolo dell’uomo nella concezione del filosofo risulta essere particolarmente marginale; sebbene la libertà dell’individuo sia il postulato fondamentale attorno a cui si articola tutto il pensiero etico di Kant, tale libertà si riduce, di fatto, alla sola scelta tra moralità e immoralità.

Dall’altro lato abbiamo invece Socrate, la cui morale dipende interamente dall’uomo: è l’uomo che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e quanto qualcosa sia più o meno giusto e viceversa. Se tale carattere spiccatamente soggettivo potrebbe risultare inidoneo ad un ambito come la morale, collegata anche alla sfera della giustizia, il fatto che il male sia rappresentato come il peso del fardello con il quale ci ritroviamo a convivere a seguito di ogni azione che può creare una discrepanza tra il soggetto e il proprio io interiore, fa si che nell’uomo si venga a formale, per forza di cose, una conoscenza consapevole del bene e del male, e sebbene tale consapevolezza sia soggettiva e possa portare ad esiti differenti, risulta comunque preferibile alla semplice presa di posizione ‘’impersonale’’ esposta da Kant nella ‘’Critica della ragion pratica’’.

Altro argomento a sfavore della morale kantiana è senza dubbio il suo carattere dispersivo. Infatti la presenza di postulati, formule e distinzioni interne, come quella tra imperativi categorici e ipotetici, rende la morale di Kant difficile da seguire. Possiamo dire che l’etica kantiana richiede forse un’eccessiva attenzione da parte del soggetto che deve badare a rispettare tutte le norme alla base del comportamento morale per non essere giudicato come ‘’cattivo’’.

La morale kantiana può inoltre essere accusata di un velato ‘’giustificazionismo’’ se andiamo ad analizzare l’esistenza dei postulati etici, ossia quei requisiti senza i quali la morale perde validità. La libertà viene vista come base della morale, tuttavia non sono libero di sentire un peccato meno grave rispetto ad un altro poiché, ogni azione contraria alla morale, che sia un furto dei più banali o un omicidio, ha pressoché lo stesso peso. L’esistenza di Dio stessa viene postulata al fine di trovare un modo di giustificare un’equivalenza tra volontà e merito che per Kant risulta impossibile.

In conclusione ciò che possiamo affermare con certezza è la ‘’superiorità’’, a nostro avviso, della dottrina morale di Socrate, quanto meno per gli argomenti qui esposti a favore del filosofo greco, e per quelli a sfavore della dottrina kantiana.

Fleres Simone V A

Laca Gabriele V A

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